lunedì 25 giugno 2018

importare

chi si dice indifferente, noncurante e chi addirittura disprezza.
a me invece importa.
quel che sono. e pure come mi vedono gli altri.
non come mi giudicano e il successo o l'insuccesso

6 commenti:

  1. Anche a me importa. Sempre.
    Importare è una qualità, che sia apprezzata o meno.

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    1. qualità come significato. come valore senza gerarchie e imposizioni. buon giorno

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  2. I sinonimi di taccagno sono molteplici, avaro, arpagone, tirchio, spilorcio, pitocco, pidocchioso, tignoso e via andando fino all’emblematico “stitico”, pittoresche le espressioni gergali come braccino corto, ragno, tasca cucita e chi più ne ha ne metta. Nobilitanti le definizioni positive, quasi auliche… parsimonioso, oculato, economo, romantico il fiabesco “formichina”. Recentemente ho letto in rete una riflessione/osanna che lusinga la taccagneria: “virtù primaria per un mondo ecosostenibile”. Banditi sprechi e superfluo, risparmi a oltranza in ogni ambito, cibi avanzati riciclati, riduzione al minimo dei rifiuti, dell’uso di combustibili, dell’energia, mezzi di trasporto e tutto il cucuzzaro sparagnino contemplabile. Concetto “leggermente” fondamentalista, giusto una caccola.

    Fossimo obbligati a dover scegliere se intraprendere una vita da tirchiaccio o da scialacquatore, ci troveremmo di fronte a un arzigogolato dilemma, le strade sarebbero invase da individui cogitabondi con le teste fumanti come geyser. Due opposti che, come spesso natura ordina, hanno molti effetti in comune, aree di condivisione “psico-pratica”. Ci si sente più pirla nel beccarsi il colpo della strega per raccogliere un centesimo dal marciapiede, oppure dopo aver pagato centinaia di Euro una bottiglia di champagne??? Ci si sente più fuori luogo nell’indossare abiti Cinesi in una compagnia di “griffati”, oppure nell’essere l’unico “griffato” in una compagnia di “made in China” vestiti??? E’ più mona un taccagno che vive da povero oppure un ganassa povero che si prosciuga le vene per saltuarie “botte di vita”??? Che differenza passa tra un emulo del Conte Mascetti e chi vive da barbone con un patrimonio in contanti nascosto nei sacchi dell’immondizia???

    L’angoscia, il terrore della nullatenenza induce l’avaro a una quotidianità genuflessa davanti all’ara degli stenti e delle privazioni, stenti e privazioni che caratterizzano l’esistenza dello scialacquatore tra un exploit da “grandeur” e l’altro. Seppur attraverso percorsi contraddittori, approdano entrambi agli stessi sensi di colpa ma mai efficaci al punto da stimolare l’adozione di nuovi modelli comportamentali. Altro paradigma che accomuna le due figure “mitologiche” è una contorta forma di masochismo, “tirchiacci della malora” e “mani bucate” vivono in funzione degli altri, non appagano bisogni interiori, non soddisfano pulsioni, assolutamente no. Si nutrono di forma perpetrando il martirio della sostanza, nel loro animo non danzano forme di egoismo applicato, finalizzato. L’insoddisfazione è una costante inamovibile, un punto fermo vissuto come sprono, leva motivazionale. Non è affatto un luogo comune affermare che l’avarizia materiale porti ad aridità sentimentale, così come non lo è il credere che la tendenza allo sperpero inibisca stabilità e profondità affettive.

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    1. La saggezza contadina suddivide la “proprietà (alias ricchezza)” in tre passaggi chiave: il primo la costruisce, il secondo se la gode e il terzo se la “mangia”. Far bibbia di questo detto vuol dire attribuire al secondo, il vero fortunato della breve catena, la responsabilità di trasformarsi in anello di congiunzione tra il “costruttore” e il “demolitore”. “Costruire” comporta l’accettazione di sacrifici e rinunce, grande soddisfazione viziata da forti “rimpianti”, “demolire” significa disconoscere tali valori e quindi affogare i momenti di dissolutezza in un malefico cocktail di “rimorsi”. E’ dunque realistico affermare che taccagni e scialacquatori vivano e muoiano con tormenti antitetici, elemento di differenziazione, uno dei pochi ma tutt’altro che trascurabile. Check-in che destinano in gironi diversi.

      In ogni comitiva che si rispetti non può, non deve mancare il “rancino”, la sua presenza non agevola la buona sorte secondo i canoni della superstizione ma è certamente utile per mantenere equilibri di spesa. Egli trova sempre il modo per risparmiare, si sbatte per ottimizzare i costi e ostacola con veemenza “colpi di testa”. E’ una specie di “tutor” degli altrui portafogli, diciamo un “rompicoglioni” impegnato nella “spending review” del gruppo, si sconsiglia di portarselo in vacanza, contesto in cui perde totalmente il controllo, al punto da trasformare un viaggio di piacere in una “via crucis” di rinunce.

      Lo spilorcio seriale respira la mefitica aria prodotta dai miasmi di una coscienza imputridita dall’avidità, ne: “L’amico di famiglia”, Paolo Sorrentino, traccia magistralmente le storture psicosomatiche della taccagneria. Oltre ad essere epidermicamente ributtante, il tirchio deve proteggersi da un insidioso pericolo, quello di incappare in una mutazione genetica che lo trasforma da condor in merlo. L’avarizia è una scuola di pensiero, una filosofia di vita, una patologia cronica, inguaribile, un morbo che colpisce prevalentemente gli uomini, per millenni gestori di potere e ricchezza, per millenni vittime obnubilate dal potere e dalla ricchezza. Alcuni opinionisti sostengono che la parità dei sessi, quella vera, sarà raggiunta solo quando la percentuale di donne avare pareggerà quella degli maschi, mi auguro il più tardi possibile, le femminucce “economicamente distratte” sono irresistibilmente sexy, pare, si mormora!!!

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    2. Aridi avari e ...ladri.

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    3. ci sarebbero molte considerazioni da fare, in generale.
      mi limito a questa, personale: a me non interessa apparire. e non apprezzo o disprezzo un povero più di un ricco. non voglio dimostrare nulla: solo essere me stesso.
      buon giorno

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